di Paolo Nicoloso
Il frenetico attivismo architettonico di Mussolini. La corsa a disseminare l’Italia di simboli di pietra ad uso del regime e della costruzione dell’uomo nuovo fascista, sullo sfondo di un’incredibile sfida a Hitler e all’egemonia dell’architettura nazista.
Non è vero che Mussolini non abbia avuto una politica architettonica. Dalla metà degli anni Trenta nuovi e imponenti palazzi pubblici, accanto ai monumenti antichi e gloriosi, costituiscono lo scenario per il suo piú ambizioso progetto politico e antropologico: la creazione dell’uomo nuovo fascista, stirpe rinnovata di italiani guerrieri e costruttori. L’architettura diviene simbolo dell’identità della nazione, efficace dispositivo capace di suggestionare le masse, inculcare i miti, modellare il carattere delle generazioni. Nata per durare, l’architettura mussoliniana si propone di tramandare ai posteri i valori della civiltà fascista allo scopo di ipotecare la costruzione dell’identità nazionale per le epoche che verranno. Compresa la nostra.
Nel corso degli anni Trenta un instancabile Mussolini percorre in lungo e in largo l’Italia inaugurando centinaia di opere architettoniche.
È un attivismo progettuale che assegna un ruolo privilegiato alla città di Roma, dove non c’è opera importante di cui il duce non abbia visitato il cantiere o esaminato il progetto, ma che dissemina tutto il paese di una miriade di simboli di pietra, icone del patto politico da lui stretto con il suo popolo.
Tra viaggi, visite ai cantieri e udienze a Palazzo Venezia, il dittatore viene personalmente a contatto con centinaia di volenterosi architetti scesi in lizza per dar forma ai palazzi e alle piazze del regime, con i quali ingaggia un fitto e riservato dialogo anche a colpi di matita.
Verso la fine del ventennio Mussolini coglie con sempre maggior chiarezza il ruolo centrale che l’architettura può svolgere nel processo di costruzione della nuova civiltà fascista. L’esito piú imponente è l’E42, la nuova città alle porte di Roma: straordinaria impresa non solo architettonica che mobilita l’intera nazione e che nella sua trama di archi e colonne interagisce con i miti del fascismo e della sua romanità. Sarà quello il modello per l’ultima stagione di interventi edilizi che il fascismo progetterà per la capitale e per altre città italiane.
> Paolo Nicoloso (Buja, 1957) insegna Storia dell’architettura alle Università di Trieste e di Udine. Studioso di storia dell’architettura italiana del Novecento, ha pubblicato tra l’altro Gli architetti di Mussolini (1999) e Il trionfo della miseria (1995, con Andrea Guerra e Elisabetta Molteni). Ha curato con Ferruccio Luppi Il piano Fanfani in Friuli (2001).
Veste editoriale: Cartonato con Sovraccoperta
Formato: 14,5×22,5
Pagine: 316
Immagini b/n: 70
Lingua: IT
Anno: 2008
ISBN: 9788806190866
di Paolo Nicoloso
Il frenetico attivismo architettonico di Mussolini. La corsa a disseminare l’Italia di simboli di pietra ad uso del regime e della costruzione dell’uomo nuovo fascista, sullo sfondo di un’incredibile sfida a Hitler e all’egemonia dell’architettura nazista.
Non è vero che Mussolini non abbia avuto una politica architettonica. Dalla metà degli anni Trenta nuovi e imponenti palazzi pubblici, accanto ai monumenti antichi e gloriosi, costituiscono lo scenario per il suo piú ambizioso progetto politico e antropologico: la creazione dell’uomo nuovo fascista, stirpe rinnovata di italiani guerrieri e costruttori. L’architettura diviene simbolo dell’identità della nazione, efficace dispositivo capace di suggestionare le masse, inculcare i miti, modellare il carattere delle generazioni. Nata per durare, l’architettura mussoliniana si propone di tramandare ai posteri i valori della civiltà fascista allo scopo di ipotecare la costruzione dell’identità nazionale per le epoche che verranno. Compresa la nostra.
Nel corso degli anni Trenta un instancabile Mussolini percorre in lungo e in largo l’Italia inaugurando centinaia di opere architettoniche.
È un attivismo progettuale che assegna un ruolo privilegiato alla città di Roma, dove non c’è opera importante di cui il duce non abbia visitato il cantiere o esaminato il progetto, ma che dissemina tutto il paese di una miriade di simboli di pietra, icone del patto politico da lui stretto con il suo popolo.
Tra viaggi, visite ai cantieri e udienze a Palazzo Venezia, il dittatore viene personalmente a contatto con centinaia di volenterosi architetti scesi in lizza per dar forma ai palazzi e alle piazze del regime, con i quali ingaggia un fitto e riservato dialogo anche a colpi di matita.
Verso la fine del ventennio Mussolini coglie con sempre maggior chiarezza il ruolo centrale che l’architettura può svolgere nel processo di costruzione della nuova civiltà fascista. L’esito piú imponente è l’E42, la nuova città alle porte di Roma: straordinaria impresa non solo architettonica che mobilita l’intera nazione e che nella sua trama di archi e colonne interagisce con i miti del fascismo e della sua romanità. Sarà quello il modello per l’ultima stagione di interventi edilizi che il fascismo progetterà per la capitale e per altre città italiane.
> Paolo Nicoloso (Buja, 1957) insegna Storia dell’architettura alle Università di Trieste e di Udine. Studioso di storia dell’architettura italiana del Novecento, ha pubblicato tra l’altro Gli architetti di Mussolini (1999) e Il trionfo della miseria (1995, con Andrea Guerra e Elisabetta Molteni). Ha curato con Ferruccio Luppi Il piano Fanfani in Friuli (2001).
Veste editoriale: Cartonato con Sovraccoperta
Formato: 14,5×22,5
Pagine: 316
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Anno: 2008
ISBN: 9788806190866
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