di Le Corbusier
a cura di Domitilla Dardi
Pubblicato nel 1925 come raccolta degli articoli polemici di Jeanneret sull’arredamento e le arti applicate apparsi su «L’Esprit Nouveau», la rivista fondata insieme con il pittore Amédée Ozenfant e Paul Dermée, L’arte decorativa non è soltanto il tentativo di applicare alla sfera dell’arredamento il nuovo criterio modernista della produzione in serie e quindi uno dei primi libri in assoluto sul design – parola non ancora in uso negli anni Venti del secolo scorso, segno che Walter Benjamin aveva ragione a pensare che ogni epoca sogna la successiva. L’arte decorativa è anche e soprattutto uno snello trattato estetico sugli oggetti che ci circondano quotidianamente e ci aiutano a vivere, distinguendo fra quelli futilmente decorativi e gli utensili o attrezzature, vale a dire utili a soddisfare i nostri bisogni in maniera corretta. Come avverte Domitilla Dardi nell’introduzione a questo saggio – qui riproposto in una nuova edizione il più possibile fedele all’ultima rivista e ampliata dall’autore nel 1959 – sopravvive la traccia autobiografica di un’eredità del passato e di una formazione che necessariamente devono essere sacrificate in nome della nascita dello “spirito nuovo” perché «il passato non è un’identità infallibile… Ha in sé cose belle e cose brutte».
Pertanto, Le Corbusier, forzando anche le convenzioni tipografiche del tempo, giustappone immagini di arredi e manufatti di ogni epoca, anticipando così di decenni leb atmosfere pop o postmoderne. Non solo: scrivendo questo libro in parallelo al coevo Urbanistica, tratta insieme la piccola e la grande scala senza soluzione di continuità così come nel padiglione dell’«Esprit Nouveau» presentato all’Expo del 1925.
Una “villa” e al contempo prototipo (elemento dell’Immeuble villa) che contiene quadri, sculture, mobili industriali e in cui sono presentati i piani per la modernizzazione di Parigi (con l’Immeuble villa). È la «scala umana» ciò che conta, non le distinzioni. Anche in questo caso, Corbu è stato un anticipatore di quanto faranno i gruppi radicali degli anni Sessanta, assimilando cioè mobili ed edifici per unificare arredamento e urbanistica in una superarchitettura che va «dal cucchiaio alla città».
Tuttavia c’è un convitato di pietra in tutto il libro, citato solo en passant: Adolf Loos. Il grande viennese, di ritorno da un suo viaggio giovanile negli USA, aveva infatti proclamato per primo, già negli ultimi anni del XIX secolo, la bellezza dei prodotti anonimi dell’industria moderna. Le Corbusier però, come ha giustamente notato Stanislaus von Moos, ha avuto il merito di andare fino in fondo, sostituendo il deliziarsi di Loos per l’artigianato anonimo con una fede assoluta nella meccanizzazione di cui la sedia Thonet era l’icona plastica: nata austriaca e artigianale per divenire industriale e globale. L’industria moderna e il suo candido colore ideologico – il latte di calce – erano infatti le premesse, necessarie già da tempo, per la purificazione della casa e del suo arredamento. Un’esaltazione dell’industria tanto inattuale quanto indispensabile e un’autorevole obiezione ai venti di sfiducia millenarista che scuotono il nostro tempo.
> Le Corbusier (1887-1965), pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, è stato l’architetto più influente del Novecento. Svizzero di nascita e parigino d’adozione, ha tenuto conferenze in ogni dove e costruito edifici in Europa, Americhe e Asia, oltre a una città capitale come Chandigarh, nello stato indiano del Punjab.
La sua opera ha spaziato dalla pittura all’urbanistica, passando per il design e la scultura. Fra le decine di suoi libri, ricordiamo Verso una architettura, a cura di Pierluigi Cerri e Pierluigi Nicolin (Longanesi, Milano 1973), Urbanistica (Il Saggiatore, Milano 1967) e Lettere a Auguste Perret (Electa, Milano 2006).
Veste editoriale: Brossura
Formato: 16×22,5
Pagine: 264
Immagini a colori-b/n:
Lingua: IT
Anno: 2015
ISBN: 9788874625567
di Le Corbusier
a cura di Domitilla Dardi
Pubblicato nel 1925 come raccolta degli articoli polemici di Jeanneret sull’arredamento e le arti applicate apparsi su «L’Esprit Nouveau», la rivista fondata insieme con il pittore Amédée Ozenfant e Paul Dermée, L’arte decorativa non è soltanto il tentativo di applicare alla sfera dell’arredamento il nuovo criterio modernista della produzione in serie e quindi uno dei primi libri in assoluto sul design – parola non ancora in uso negli anni Venti del secolo scorso, segno che Walter Benjamin aveva ragione a pensare che ogni epoca sogna la successiva. L’arte decorativa è anche e soprattutto uno snello trattato estetico sugli oggetti che ci circondano quotidianamente e ci aiutano a vivere, distinguendo fra quelli futilmente decorativi e gli utensili o attrezzature, vale a dire utili a soddisfare i nostri bisogni in maniera corretta. Come avverte Domitilla Dardi nell’introduzione a questo saggio – qui riproposto in una nuova edizione il più possibile fedele all’ultima rivista e ampliata dall’autore nel 1959 – sopravvive la traccia autobiografica di un’eredità del passato e di una formazione che necessariamente devono essere sacrificate in nome della nascita dello “spirito nuovo” perché «il passato non è un’identità infallibile… Ha in sé cose belle e cose brutte».
Pertanto, Le Corbusier, forzando anche le convenzioni tipografiche del tempo, giustappone immagini di arredi e manufatti di ogni epoca, anticipando così di decenni leb atmosfere pop o postmoderne. Non solo: scrivendo questo libro in parallelo al coevo Urbanistica, tratta insieme la piccola e la grande scala senza soluzione di continuità così come nel padiglione dell’«Esprit Nouveau» presentato all’Expo del 1925.
Una “villa” e al contempo prototipo (elemento dell’Immeuble villa) che contiene quadri, sculture, mobili industriali e in cui sono presentati i piani per la modernizzazione di Parigi (con l’Immeuble villa). È la «scala umana» ciò che conta, non le distinzioni. Anche in questo caso, Corbu è stato un anticipatore di quanto faranno i gruppi radicali degli anni Sessanta, assimilando cioè mobili ed edifici per unificare arredamento e urbanistica in una superarchitettura che va «dal cucchiaio alla città».
Tuttavia c’è un convitato di pietra in tutto il libro, citato solo en passant: Adolf Loos. Il grande viennese, di ritorno da un suo viaggio giovanile negli USA, aveva infatti proclamato per primo, già negli ultimi anni del XIX secolo, la bellezza dei prodotti anonimi dell’industria moderna. Le Corbusier però, come ha giustamente notato Stanislaus von Moos, ha avuto il merito di andare fino in fondo, sostituendo il deliziarsi di Loos per l’artigianato anonimo con una fede assoluta nella meccanizzazione di cui la sedia Thonet era l’icona plastica: nata austriaca e artigianale per divenire industriale e globale. L’industria moderna e il suo candido colore ideologico – il latte di calce – erano infatti le premesse, necessarie già da tempo, per la purificazione della casa e del suo arredamento. Un’esaltazione dell’industria tanto inattuale quanto indispensabile e un’autorevole obiezione ai venti di sfiducia millenarista che scuotono il nostro tempo.
> Le Corbusier (1887-1965), pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, è stato l’architetto più influente del Novecento. Svizzero di nascita e parigino d’adozione, ha tenuto conferenze in ogni dove e costruito edifici in Europa, Americhe e Asia, oltre a una città capitale come Chandigarh, nello stato indiano del Punjab.
La sua opera ha spaziato dalla pittura all’urbanistica, passando per il design e la scultura. Fra le decine di suoi libri, ricordiamo Verso una architettura, a cura di Pierluigi Cerri e Pierluigi Nicolin (Longanesi, Milano 1973), Urbanistica (Il Saggiatore, Milano 1967) e Lettere a Auguste Perret (Electa, Milano 2006).
Veste editoriale: Brossura
Formato: 16×22,5
Pagine: 264
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Lingua: IT
Anno: 2015
ISBN: 9788874625567
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