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DAL PROGETTO ALLA STORIA

20,00 

[9788822905369]

DAL PROGETTO ALLA STORIA. Gli Anni della Critica e della nuova Dimensione urbana

 

«Già da tempo gli architetti sono coscienti della falsità di una loro posizione “demiurgica” in seno ai conflitti sociali, e per molti ciò ha significato l’abbandono definitivo di ogni tipo di lotta, per altri ha significato la necessità di uno spostamento della lotta stessa in campi che sembravano più idonei per influire sulle cause prime di quelle disfunzioni. Da ciò il rifugio nell’urbanistica: ma ben presto ci si accorse che quando un’intera civiltà è in crisi, nessun settore ha in sé la possibilità di offrire soluzioni decisive».

Subito dopo la laurea, Manfredo Tafuri, in parallelo all’insegnamento universitario come assistente di Ludovico Quaroni, si è impegnato nella progettazione architettonica e nella «critica in atto» sulle questioni più cogenti del primo dopoguerra, in particolare a Roma.
I suoi interventi pubblici giovanili, elaborati insieme ad alcuni compagni universitari (Enrico Fattinnanzi, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici), sono quindi equamente divisi fra i temi della scala urbana, concernenti cioè la speculazione edilizia e gli alloggi sociali messi in campo dallo Stato; la salvaguardia dei beni monumentali, per cui il giovane architetto partecipa alle iniziative di Italia Nostra a fianco di Antonio Cederna, Italo Insolera e altri; la collaborazione con la rivista milanese «Casabella‐Continuità» diretta da Ernesto Nathan Rogers, per la quale si occupa della «nuova dimensione» assunta dai progetti pubblici, vale a dire la grande scala dei centri direzionali e della «città territorio» che in quegli anni di boom economico e grandi migrazioni interne infiammavano la discussione urbanistica.
Secondo Tafuri, tutto ciò non poteva certo «risolversi curando lo studio dei singoli problemi edilizi, ma per le sue dimensioni, richiedeva una scala più vasta, la scala del piano regolatore comunale, se non di quello territoriale e conseguentemente la riforma totale del regolamento edilizio». A questa stagione appartengono i saggi qui riuniti per la prima volta.
Ben presto, pur diventando un interlocutore abituale per tutta la nuova generazione di architetti del dopoguerra, da Carlo Aymonino ad Aldo Rossi, da Giancarlo De Carlo a Vittorio Gregotti, Tafuri si sarebbe sentito sconfitto per non aver influito sulla gestione – o meglio, sulla mancata gestione – dello sviluppo urbano della capitale e in generale di tutte le grandi aree metropolitane del Paese. Come sostiene Giorgio Ciucci, «Tafuri era giunto alla conclusione che non era dato all’intellettuale cambiare il mondo, e che tuttavia doveva inevitabilmente lavorare per quel cambiamento».

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DAL PROGETTO ALLA STORIA. Gli Anni della Critica e della nuova Dimensione urbana

 

«Già da tempo gli architetti sono coscienti della falsità di una loro posizione “demiurgica” in seno ai conflitti sociali, e per molti ciò ha significato l’abbandono definitivo di ogni tipo di lotta, per altri ha significato la necessità di uno spostamento della lotta stessa in campi che sembravano più idonei per influire sulle cause prime di quelle disfunzioni. Da ciò il rifugio nell’urbanistica: ma ben presto ci si accorse che quando un’intera civiltà è in crisi, nessun settore ha in sé la possibilità di offrire soluzioni decisive».

Subito dopo la laurea, Manfredo Tafuri, in parallelo all’insegnamento universitario come assistente di Ludovico Quaroni, si è impegnato nella progettazione architettonica e nella «critica in atto» sulle questioni più cogenti del primo dopoguerra, in particolare a Roma.
I suoi interventi pubblici giovanili, elaborati insieme ad alcuni compagni universitari (Enrico Fattinnanzi, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici), sono quindi equamente divisi fra i temi della scala urbana, concernenti cioè la speculazione edilizia e gli alloggi sociali messi in campo dallo Stato; la salvaguardia dei beni monumentali, per cui il giovane architetto partecipa alle iniziative di Italia Nostra a fianco di Antonio Cederna, Italo Insolera e altri; la collaborazione con la rivista milanese «Casabella‐Continuità» diretta da Ernesto Nathan Rogers, per la quale si occupa della «nuova dimensione» assunta dai progetti pubblici, vale a dire la grande scala dei centri direzionali e della «città territorio» che in quegli anni di boom economico e grandi migrazioni interne infiammavano la discussione urbanistica.
Secondo Tafuri, tutto ciò non poteva certo «risolversi curando lo studio dei singoli problemi edilizi, ma per le sue dimensioni, richiedeva una scala più vasta, la scala del piano regolatore comunale, se non di quello territoriale e conseguentemente la riforma totale del regolamento edilizio». A questa stagione appartengono i saggi qui riuniti per la prima volta.
Ben presto, pur diventando un interlocutore abituale per tutta la nuova generazione di architetti del dopoguerra, da Carlo Aymonino ad Aldo Rossi, da Giancarlo De Carlo a Vittorio Gregotti, Tafuri si sarebbe sentito sconfitto per non aver influito sulla gestione – o meglio, sulla mancata gestione – dello sviluppo urbano della capitale e in generale di tutte le grandi aree metropolitane del Paese. Come sostiene Giorgio Ciucci, «Tafuri era giunto alla conclusione che non era dato all’intellettuale cambiare il mondo, e che tuttavia doveva inevitabilmente lavorare per quel cambiamento».

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